Storia degli illeciti bancari

Usura

Il reato di usura era disciplinato dall’art. 644 codice penale e sanciva la condanna di chi, approfittando dello “stato di bisogno” di una persona, si faceva dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo della prestazione di denaro o di altra cosa mobile. Il quarto comma stabilisce che “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito”.
Col D.L. n.306 del 1992, convertito in Legge n. 356/1992, fu introdotto l’art. 644 bis, che prevedeva la cosidetta “usura impropria” e puniva “chiunque fuori dei casi previsti dall’art. 644, approfittando delle condizioni di difficoltà economica o finanziaria di persona che svolge un’attività imprenditoriale o professionale, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, interessi o altri vantaggi usurari”.
La Legge n.108/1996, che da una parte modificava sia l’art. 644 c.p. e l’art. 1815 c.c., stabilendo il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari “nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella G.U. ai sensi del c. 1, relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà”, dall’altra parte all’art. 1 riprendeva la disposizione dell’art. 644 c.p. secondo cui “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito”.
La Legge n. 2/2009, in seguito ribadiva il limite oltre il quale gli interessi sono considerati usurari ai sensi dell’art. 644 c.p., comma 5, individuandolo nel tasso medio risultante dalla rilevazione trimestrale relativa alla categorie di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà, cosiddetto Tasso Effettivo Globale (T.E.G.).
Nel 2010 le sentenze della Cassazione Penale n.262 e n.12028 hanno confermato l’inclusione della commissione di massimo scoperto tra gli oneri da includere nella determinazione del Tasso Effettivo Globale (TEG) ai fini della verifica del superamento del Tasso Soglia Usura (T.S.U.)
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 350 del 2013 si è espressa a favore dei ricorrenti stabilendo che si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori; l’articolo 1815 comma 2 del Codice Civile pone un limite alla possibilità della banca di chiedere interessi: “Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi“.

In base alla L. n. 108/1996, che si rifà all’art. 644 c.p., la formula per la verifica del superamento del tasso soglia (T.A.E.G. – Tasso Annuo Effettivo Globale) è la seguente:
in cui:
gli “Oneri” sono dati dalle competenze di pertinenza del trimestre di riferimento, e ricomprendono gli interessi, le commissioni di massimo scoperto o qualsivoglia altra commissione, le spese.
i “Numeri Debitori” sono dati dal prodotto tra i “saldi” ed i “giorni”.
Successivamente, la L. n. 2/2009 (T.E.G. – Tasso Effettivo Globale) formulava la nuova formula di calcolo:
Dove:
gli “interessi” sono dati dalle competenze di pertinenza del trimestre di riferimento, ivi incluse quelle derivanti da maggiorazioni di tasso applicate in occasione di sconfinamenti rispetto al fido accordato.
i “numeri debitori” sono dati dal prodotto tra i “capitali” ed i “giorni”.
gli “oneri su base annua” sono calcolati includendo tutte le spese sostenute nei dodici mesi precedenti la fine del trimestre di rilevazione, tranne il caso in cui lo storico precedente costringa la presa in considerazione di periodi temporali inferiori.
Nella voce “oneri” rientrano quindi tutti costi di tenuta del conto corrente e per operazioni, le commissioni per messa a disposizioni fondi (o commissioni similari), le commissioni di massimo scoperto, nonché qualsiasi altro costo sostenuto dal correntista non riconducibile per sua natura ad “imposte e tasse”. Dall’esame effettuato sul conto corrente risulta quindi che l’unica categoria di costo che rimane esclusa dalla diretta imputazione in tale voce sono i “bolli su estratto conto”.
Per “accordato” si intende l’ammontare del fido utilizzabile dal cliente in quanto riveniente da un contratto perfetto ed efficace (cd. accordato operativo).
Il TAEG/TEG così ottenuto è stato quindi confrontato col Tasso Soglia Usura (T.S.U.) del trimestre di riferimento, ottenuto come il TEGM rilevato trimestralmente da Banca d’Italia maggiorato del 50%. Dal III trimestre 2011 è stato modificato il metodo di calcolo del tasso soglia, riducendo dal 50% al 25% lo spread percentuale e aggiungendo un margine fisso di 4 punti percentuali; viene in tal modo posto un minimo al divario fra il TAEG e la soglia d’usura. Nel contempo viene anche fissato in 8 punti il divario massimo fra il TEGM e la soglia. Nel caso si sia verificato il superamento del tasso soglia da parte del TAEG/TEG, con conseguente “Usura” sul conto corrente, le competenze (Interessi debitori, CMS, spese e commissioni, con esclusione delle imposte e tasse) dello specifico trimestre vengono azzerate in quanto non dovute ed indebitamente sottratte dalla banca al correntista. Le competenze dei trimestri in cui si è superato il tasso soglia, in quanto non dovute, vengono stornate dal saldo del c/c e non concorrono alla formazione di interessi passivi nei trimestri successivi.
Noi effettuiamo la verifica del superamento del tasso soglia con entrambe le metodologie di calcolo, ma riteniamo giusta ed applicabile, l’interpretazione che vuole l’utilizzo del TAEG fino all’entrata in vigore della L. n. 2/2009, e successivamente il calcolo del TEG secondo la nuova formula.

Usura soggettiva

Esiste un’altra fattispecie di usura, ossia quella soggettiva, è descritta dal prosieguo del terzo comma dell’art. 644 del codice penale che afferma:
Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, che siano stati percepiti dalla banca unitamente a tutti gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria”.
In questo caso il codice ci dice che l’interesse per ritenersi usurario può anche non essere superiore al limite previsto dalla legge (tasso soglia). Tuttavia, si tiene conto: del superamento del valore del TEGM (tasso medio applicato a operazioni similari. Da non confondere con il tasso soglia!) e delle gravose condizioni applicate.
Se questi due aspetti risultano sproporzionati alle critiche condizioni economico-finanziarie del soggetto, si è in presenza di usura soggettiva. In questo caso si ha un “superamento soggettivo”, perché chi compie il reato si avvantaggia di una situazione di difficoltà economica o finanziaria del soggetto. Ad esempio, nel caso dell’usura bancaria, se il soggetto in questione non fosse stato in difficoltà, probabilmente non avrebbe fatto ricorso a un credito bancario o ad altre forme di finanziamento.

C.M.S.

La commissione di massimo scoperto, quale interesse aggiuntivo, deve avere le seguenti caratteristiche:

  • forma scritta;
  • non può essere modificata unilateralmente dalla Banca se non in base ad una clausola approvata specificatamente dal Cliente;
  • non può essere indicata con il rinvio agli usi;
  • non può essere più sfavorevole al Cliente rispetto a quella pubblicizzata;
  • va considerata non solo nel calcolo del TAEG (tasso annuo effettivo globale) ma anche del TEGM (tasso effettivo globale medio);
  • non può essere capitalizzata, se non alle condizioni di cui all’art. 1283 c.c. e a quelle della delibera CICR 9/2/2000.

La nullità della clausola di C.M.S.

Una ricorrente causa di nullità della clausola di C.M.S. è quella per cui la clausola ha forma scritta, nel senso che è indicata la misura percentuale, ma nulla dice in ordine al criterio di calcolo. In tal caso la clausola è nulla in base ai principi generali codicistici (combinata previsione degli artt. 1418 c. 2 e 1346 c.c.) perché ha un oggetto che manca dei requisiti essenziali della determinatezza e della determinabilità. La conseguenza è che non va calcolata alcuna somma a titolo di C.M.S. a danno del cliente. La commissione di "massimo scoperto" è un istituto di scarsa trasparenza e va abolito, sostituendolo con una commissione legata alla dimensione del fido accordato. Lo afferma il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, nelle Considerazioni finali all'assemblea di palazzo Koch. «Abbiamo già in passato richiamato l'attenzione sulla commissione di massimo scoperto - sottolinea il governatore - un istituto poco difendibile sul piano della trasparenza. Va sostituita, dove la natura del rapporto di credito lo richieda, con una commissione commisurata alla dimensione del fido accordato, come avviene in altri Paesi». «Una simile innovazione - aggiunge Draghi - richiede un complesso adattamento della prassi delle banche. Essa però dovrebbe essere avviata con decisione, proponendo il cambiamento ai nuovi clienti, anche per evitare il rischio che la questione sia risolta con gli strumenti operativi della legge».

La nullità della clausola di C.D.A. (Commissione di Disponibilità Accordata)

L’art. 2 del D.L. 29/11/2008 n. 185, conv. con mod. L. 28/1/2009 n. 2 ha previsto, espressamente e a determinate condizioni, la validità della C.D.A., il cui mancato rispetto produce la nullità della clausola.
Le condizioni sono le seguenti:
  • il corrispettivo della sola messa a disposizione delle somme sia preordinato in misura omnicomprensiva e proporzionale all’importo ed alla durata dell’affidamento;
  • sia predeterminato e indicato anche il tasso debitore applicato in caso di effettivo utilizzo delle somme;
  • sia prevista in favore del Cliente a attuata dalla Banca la rendicontazione almeno annuale con l’indicazione dell’eventuale effettivo utilizzo delle somme messe a disposizione;
  • la clausola sia stipulata in forma scritta;
  • il patto non sia rinnovabile tacitamente.
La norma stabilisce che è fatta salva in ogni caso la facoltà del correntista di recedere in qualsiasi momento dalla pattuizione. Esiste poi una previsione di nullità parziale, limitata al solo patto di remunerazione, nel caso in cui l’ammontare del corrispettivo superi la percentuale dello 0,5% per trimestre dell’importo affidato (pari a circa il 2% annuo). Essendo collegata all’erogazione del credito essa va considerata nel calcolo del TAEG, anche al fine della verifica dell’eventuale superamento del tasso soglia usurario.

La nullità della clausola di decorrenza delle valute

La prassi bancaria dell’antergazione delle operazioni di addebito e della postergazione delle operazioni di accredito comporta un aggravio degli interessi posti a carico del Cliente, diventando un costo ulteriore.
Per «giorno valuta», o più semplicemente «valuta» si intende, nella prassi bancaria, l’intervallo in giorni che intercorre tra la data di addebito in conto corrente di un assegno, bonifico o altro prelievo e la data dalla quale per il beneficiario di tali operazioni cominciano a calcolarsi gli interessi attivi. Le Banche hanno sempre giustificato il fenomeno «giorni valuta» con ragioni tecniche e di altra natura che introdurrebbero uno sfasamento tra la data delle operazioni di addebito o di accredito e la produzione degli effetti di tali operazioni. Se tali ragioni avevano per gli anni passati un loro fondamento reale, all’attualità, considerati i protocolli lavorativi e i processi tecnologici, non possono assecondare comportamenti delle Banche pretestuosamente dilatori e senza causa.
Il sistema «giorni valute» è sicuramente un pretesto per consentire alle Banche di lucrare sui capitali di cui esse possono liberamente disporre nel periodo intercorrente tra il giorno dell’operazione di addebito o accredito e il giorno in cui le somme producono interessi (c.d. «valuta») o possono essere utilizzate (c.d. «disponibilità») dai beneficiari. Orbene, la normativa introdotta negli ultimi anni ha limitato fortemente il malcostume bancario delle valute antergate o postergate, vietandolo in talune situazioni o tutelandolo entro ambiti più ristretti in altre situazioni.
La regola generale è che nella contabilizzazione degli interessi sui versamenti e sui prelevamenti effettuati sul conto corrente la Banca è tenuta a seguire, in mancanza di diversa previsione contrattuale, il sistema della valuta reale, vale a dire deve conteggiare gli interessi su dette somme dal giorno in cui è realmente fatto il versamento o il prelevamento.
In senso assoluto deve ritenersi nulla per contrarietà a norma imperativa, ai sensi dell’art. 1418 c.1 c.c., la clausola che preveda una valuta differita per i versamenti e i prelevamenti di:
  • Denaro;
  • Assegni circolari emessi dalla stessa Banca;
  • Assegni bancari tratti sulla stessa succursale.
Le suddette nullità delle clausole di decorrenza delle valute comportano l’applicazione della c.d. valuta reale, vale a dire il conteggio degli interessi dal giorno di effettivo versamento e prelevamento.

Il danno da illegittima segnalazione alla Centrale Rischi

La segnalazione di una «sofferenza» non più esistente alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia, conferendo pubblicità interbancaria ad un non reale protrarsi dell’insolvenza del debitore, è destinata ad assumere rilevanza peculiare in un’ottica commerciale ed imprenditoriale , risolvendosi in una complessa vicenda di indubitabile discredito patrimoniale, idonea a provocare un danno anche della reputazione imprenditoriale del segnalato. (Tribunale di Lecce sent. n. 46 del 3/11/2005, precisando che l’illegittima segnalazione provoca un danno all’attività imprenditoriale che deve essere provato, mentre la lesione della reputazione personale esime il soggetto leso dall’onere di fornire in concreto la prova dl danno in quanto questo viene considerato in re ipsa.) 

Il decorso della prescrizione

Mentre l’azione promossa dal Cliente verso la Banca per far valere la nullità delle clausole del contratto di conto corrente è imprescrittibile ai sensi dell’art. 1422 c.c., quella proposta per la ripetizione delle somme ritenute illegittimamente è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale di cui all’art. 2946 c.c. Le Banche tentano di opporsi alla prescrizione ordinaria decennale dell’azione di ripetizione dell’indebito (art. 2946 c.c.) con due argomenti del tutto infondati:
  • Il primo è quello che si fonda sull’eccezione di prescrizione quinquennale degli interessi di cui all’art. 2948 n.4 c.c., il quale attiene infatti al pagamento degli interessi «dovuti» e non percepiti e non alla restituzione di quelli percepiti e «non dovuti».
  • Il secondo è la mancata contestazione degli estratti conto inviati al Cliente della Banca, oggetto di tacita approvazione in difetto di contestazione ai sensi dell’art. 1832 c.c., che non vale a superare la nullità della clausola relativa agli interessi ultralegali, perché l’unilaterale comunicazione del tasso di interesse non può supplire al difetto originario di valido accordo scritto in deroga alle condizioni di legge , richiesto dall’art. 1284 c.c.